Torino, 21 febbraio. Dai sentieri della Val Susa alle strade di Torino i passi dei No Tav segnano un frammento della storia di questi nostri anni.
Non bastano gli anni di galera, le botte, i risarcimenti a sei cifre per fermare un movimento che lotta contro un treno, per affermare la libertà di decidere il proprio futuro.
Nella piazza torinese di questo fine febbraio c’era tanta gente, tanta gente dalla Val Susa, tante delegazioni dalle città dove c’è chi lotta contro le devastazioni ambientali, lo spreco di risorse, l’imposizione di un’idea di mondo folle, autoritaria, ingiusta.
La manifestazione indetta dopo le condanne contro 46 No Tav per le giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio 2011, il giorno successivo all’approvazione del progetto “definitivo” da parte del CIPE, dopo un’ulteriore raffica di condanne per l’azione di lotta alla GeoValsusa dell’agosto 2012, ha dato il segno di un movimento che dura e rinforza i legami solidali con le altre lotte.
Imponente ma discreto il dispositivo poliziesco, ha tuttavia dato la sua zampata, ritardando per ore l’arrivo del treno da Milano, tanto che una parte dei No Tav milanesi non è mai arrivata al corteo.
Un segnale chiaro in vista delle giornate di lotta contro l’expo.
La città di Torino ha risposto con grandi numeri all’appello del movimento No Tav.
Sempre più forti sono i legami tra la valle e la città, nella consapevolezza che ospedali che chiudono, tram, bus, treni più costosi e meno sicuri, scuole che cadono a pezzi, lavoro ridotto a schiavitù precaria non sono un destino. Cambiare rotta si può, fuori dal recinto istituzionale, praticando l’azione diretta e rifuggendo la delega. Torino, nonostante il restyling della vetrina fatto dalle amministrazioni democratiche al governo da decenni, è una città in ginocchio: lo scorso anno hanno perso la casa e sono finite in strada oltre quattromila famiglie, il doppio di Milano, tre volte Roma e Napoli.
Tra Torino e la Val Susa si gioca una partita importante. Non è solo un treno. E’ la possibilità concreta che il destino già scritto da chi punta sulla logica del profitto e del dominio, possa essere cancellato.
Qui le dirette di Radio Onda d’Urto
Qui una galleria fotografica
Un video con un sunto degli interventi dell’assemblea No Tav del 16 febbraio a Torino
Di seguito il volantino distribuito in piazza dalla Federazione Anarchica Torinese, in piazza nello spezzone rosso e nero.
La sabbia, la macchina, l’azione diretta
Il movimento No Tav ha tante anime ma un unico scopo: fermare il supertreno e dare una bella botta al mondo che rappresenta.
E’ una spina nel fianco di questo sistema. Una spina sempre più dolorosa, che vogliono estirpare ad ogni costo.
Le accuse di terrorismo, sulle quali la Procura non ha smesso di puntare, nonostante l’assoluzione di Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, le gravi condanne inflitte per le giornate di lotta del 27 giugno e 3 luglio 2011, le decine di procedimenti contro centinaia di attivisti, sono il segnale della volontà di piegare con la forza un movimento che non cede, che non accetta di ridursi a mero testimone dello scempio.
“La legge è uguale per tutti” è scritto nei tribunali: una farsa atroce. Il diritto dei diseguali è da sempre l’emblema di una giustizia di classe.
Chi uccide migliaia di lavoratori, chi ammazza in divisa, chi avvelena l’acqua e l’aria per il proprio profitto è tutelato e protetto. Chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto, predatorio, razzista è condannato a lunghi anni di galera.
L’azione della magistratura, orientata a reprimere ogni insorgenza, ha operato una torsione del diritto, introducendo di fatto il criterio della responsabilità collettiva. Quando non reggono i reati associativi usano l’impalpabile categoria del concorso. La scelta dei soggetti da colpire, costruita sui dossier delle polizie politiche, la digos e i ros, consente operazioni apparentemente “neutre”, in realtà ben mirate. Nuovi pacchetti sicurezza rafforzano un insieme normativo che trasforma in nemici gli oppositori politici, applicando loro leggi di guerra.
Il movimento ha eluso ogni tentativo di dividere i buoni dai cattivi ponendosi a fianco di chi ha subito condanne e di chi è ancora in carcere o a ai domiciliari.
Oggi in piazza ci sono anche i sindaci No Tav. Pochi mesi dopo le elezioni, diversi di loro si sono seduti al tavolo delle compensazioni, un’ambiguità che rende sempre meno attrattive le sirene istituzionali.
La partita vera è comunque in mano ad un movimento che ha dimostrato con i fatti la propria autonomia.
L’ultima mossa del governo ne dimostra la debolezza. Per questo e diversi altri anni a venire non verranno aperti cantieri in bassa valle. Vogliono scavare il mega tunnel dentro la montagna, partendo dalla galleria di Chiomonte. Una soluzione “tecnica” per una questione politica. Il governo teme blocchi e proteste che rendano ingovernabile la bassa valle.
I No Tav dovranno fare i conti con uno scenario difficile. L’area di Chiomonte, scelta per le sue caratteristiche di inaccessibilità, distanza dai centri abitati, facile controllo militare non può essere il solo terreno in cui si gioca una partita, che, sul piano dello scontro diretto, è persa in partenza.
Anche le azioni di sabotaggio, dentro o fuori la valle, pur importanti nel ridare fiducia nella possibilità di gettare sabbia nell’ingranaggio dell’occupazione militare, hanno tuttavia una valenza del tutto simbolica, nonostante il can can mediatico che a volte si scatena.
La scommessa, l’unica che valga le violenze subite, i feriti gravi, le condanne e le carcerazioni, è quella di dare gambe ad un movimento in cui non vi siano specialisti della politica o dell’azione, ma ambiti di confronto e azione in cui ciascuno, come vuole e come può, nel necessario confronto tra tutti, possa dare il proprio contributo alla cancellazione della Torino Lyon.
Per bloccare l’ingranaggio occorre molta sabbia, non bastano poche manciate, non bastano le manifestazioni popolari in sostegno di chi agisce, serve l’azione diretta popolare. Occorre un confronto a tutto campo, di comitato in comitato, di paese, in paese, di quartiere in quartiere, saldando le lotte, unendo i fronti, mettendo a fianco chi non ha una casa e chi rischia di perderla per il Tav. Se il tunnel lo scaveranno dentro la montagna, l’unica alternativa è creare le condizioni perché l’intera valle si blocchi, perché ovunque vi sia una barricata, un picchetto, un’azione, anche piccola, che inceppi la macchina, in cui ciascuno sia protagonista.
Dopo quattro anni e mezzo di occupazione militare il governo punta sulla stanchezza, sulla rassegnazione, sulla divisione.
I No Tav hanno dalla loro la durata, la maturità acquisita, la consapevolezza di avere davanti una strada tutta da lastricare. Ingegneri di barricate e inventori di nuovi sentieri sono chiamati ad un impegno difficile ma possibile. Dipende solo da noi. Da ciascuno di noi. Senza deleghe a nessuno.
Prossimo appuntamento:
La maschera della democrazia. La legge è uguale per tutti?
Il fronte della guerra interna: i processi ai No Tav e agli antirazzisti, la sorveglianza speciale, i fogli di via… Il diritto penale del nemico, il paradigma repressivo che mostra la trama dell’ordine liberale
Ne parliamo venerdì 27 febbraio
ore 21 in corso Palermo 46.
Introduce Lorenzo Coniglione