Cosa sta succedendo ad Afrin?
Di tutto, ma di poco o nulla si parla. Anche quando se ne parla, di sfuggita, gli organi di informazione nell’era della comunicazione globalizzata si guardano bene dal decentrare lo sguardo dall’ottica privilegiata eurocentrica egemone dell’occidente, che di democrazia si sciacqua la bocca, anzi pretende di insegnarla al mondo intero.
Sarebbe troppo destabilizzante rendersi conto che forse stavolta il ‘centro del mondo’ è da un’altra parte, in quella ‘periferia’ dove sono in azione motori di cambiamento della società che riguardano anche la nostra perchè ci sta dando ‘lezioni’ di democrazia.
Dopo due mesi di assedio, l’esercito turco del dittatore Erdogan, che prima dell’attacco aveva visitato l’Europa per ottenere la benedizione del papa e degli alleati Nato, Italia compresa, è entrato nella città di Afrin. La resistenza nella regione non si è spenta e non si spegnerà e continuerà a manifestarsi ancora nei prossimi giorni sotto le forme della guerriglia, ma quali sono i motivi di questo intervento militare?
Afrin è una città della Siria che dopo la rivoluzione del 2011, e la conseguente guerra civile, dal 2012 è passata sotto il controllo delle truppe kurde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) e dal 2014 è il capoluogo di uno dei tre cantoni del Rojava. Il Rojava è un’entità sia geografica che politica che in kurdo significa ‘ovest’ e che in queste tre regioni della Siria del Nord in questi anni si è costituita sotto forma di Federazione Democratica, non ufficialmente riconosciuta dal governo siriano, e si ispira al modello politico del confederalismo democratico.
Questo modello politico, come in pochi sanno, non è un esperimento occasionale che nasce puramente dall’opportunità creatasi dal vuoto di potere esistente dal 2011/12 nella Siria del nord, ma ha una storia che viene da lontano, e che va raccontata.
Già a partire dal 2005 il PKK, Partito dei Lavoratori Kurdi, movimento combattente impegnato sin dagli anni Settanta in una lunga guerra contro lo Stato turco e classificato ufficialmente dalla Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea come “organizzazione terroristica”, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare i propri sforzi nello sviluppo di strutture democratiche nei territori di cui già ha il controllo.
In Rojava, dove la Rivoluzione siriana ha dato la possibilità di condurre tali esperimenti su territori ampi e confinanti fra loro, sono stati formati consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà del regime sono state trasformate in cooperative condotte dai lavoratori, e tutto nonostante i continui attacchi dalle forze islamo-fasciste dell’ISIS.
Questa scelta politica è in parte dovuta a uno scenario politico completamente mutato rispetto a quarant’anni fa, ma anche dalla conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, che da quel momento ha cominciato a cambiare radicalmente i propri scopi e le proprie tattiche.
La lettura dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin ha in parte ispirato una nuova visione, al punto che il PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di creare uno Stato kurdo.
Il passaggio dalla teoria alla pratica, e dalle pratiche a nuove forme di riattualizzazione della teoria, è frutto di un lavoro quotidiano e paziente. Sono state create assemblee popolari che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un kurdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere una donna), consigli delle donne e dei giovani, e un’armata composta esclusivamente da donne.
Una rivoluzione che ha saputo accompagnare all’aspetto militare elementi veri e propri di rivoluzione sociale e culturale molto avanzata, sapendo problematizzare contraddizioni molto profonde come la millenaria civiltà patriarcale e lo sfruttamento delle risorse naturali, risalendo alle origini storiche del dominio dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e dell’uomo sulla natura.
A questo punto non possono che essere chiari i motivi della volontà di annientare tutto questo da parte delle potenze, che oggi ha operato attraverso l’esercito turco confinante, ma che vede la supervisione di tutte le grandi potenze mondiali, non solo indifferenti ma complici, protette da una censura mediatica impressionante.
Come collettivo libertario anarchico Stella Nera vogliamo fungere da megafono a una rivoluzione che ha riportato al centro l’importanza radicale della distribuzione del potere decisionale contro ogni forma di accentramento politico in ogni fase della lotta. Per questo sosteniamo le lotte dei rivoluzionari e delle rivoluzionarie kurde e la diffusione di analoghe idee e pratiche in tutti gli angoli del pianeta!
Collettivo libertario anarchico Stella Nera