La bicicletta, come l’automobile, non è un mezzo di trasporto neutrale. La storia della bicicletta non è solo la storia del ciclismo e la bicicletta non ha fatto storia solo con le imprese sportive.
Lo stesso si potrebbe dire del popolo ebraico e dello stato di Israele, le cui due storie si sovrappongono ma non coincidono, e confondere i piani è una forma di strumentalizzazione.
Gli organizzatori del giro d’Italia lo sanno bene perché, in occasione del settantesimo anniversario della nascita dello stato d’Israele, hanno strumentalizzato le gesta extrasportive di Gino Bartali, che fra il 1943 e il 1944 trasportò per la Toscana e l’Umbria documenti e fotografie essenziali per falsificare lasciapassare da consegnare agli ebrei nascosti, contribuendo così a salvarne centinaia, e con questo pretesto hanno preso accordi per far partire il giro 2018 da Gerusalemme. Con qualche dettaglio, anche imbarazzante, nella subalternità al business come l’arrivo della tappa a Tel Aviv di fronte all’abitazione di Silvan Adams, il miliardario canadese-israeliano “innamorato del ciclismo” e che ha donato milioni di dollari per facilitare il capitolo israeliano del Giro.
In quegli anni fra l’altro il giro d’Italia non si correva, ma le biciclette aiutavano a compiere molte altre imprese.
Il 25 aprile 1945, l’annuncio dell’insurrezione generale venne trasmesso nei vari punti cardinali di Milano e ai Comitati di Fabbrica dalle staffette tutte in bicicletta e come racconta Marina Addis Saba nel suo saggio “Partigiane. Tutte le donne della Resistenza” (1998) la bicicletta fu un simbolo di libertà soprattutto femminile.
https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2010/04/25/la-bicicletta-nella-resistenza/
Dal 1948 ad oggi lo stato d’Israele ha continuato a rappresentare uno stato di guerra civile permanente nelle terre di Palestina, e la sua funzione ideologica di ‘risarcimento al popolo ebraico’ maschera il suo ruolo di avamposto strategico in medio Oriente per le potenze post-coloniali ove sperimentare le più avanzate tecnologie militari, solitamente su civili palestinesi che muoiono continuamente, ma anche tramite la militarizzazione dell’intera popolazione israeliana, uomini e donne, che vivono anni di addestramento militare obbligatorio, sottrarsi ai quali, oltre che ad essere difficile, comporta conseguenze spesso serie anche di detenzione.
L’apartheid e l’occupazione israeliana non si cancellano con lo sport. No al giro d’Italia in Israele! Cambia Giro!